La strada giusta, il racconto di Natale di Dino Ticli: seconda parte

di Redazione 0

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Lo spirito del Natale visto da un racconto di Dino Ticli e riscoperto dall’amore di padre e figlio. Questa è la seconda parte della nostra favola per bambini di oggi.

Iniziò a intagliare la statuina dalla testa. I pezzettini di legno saltavano via sotto le mani esperte, rivelando i tratti del volto. Poi passò al corpo e scolpì una bella giacca a doppio petto con camicia e perfino una cravatta ben annodata, nonostante le dimensioni ridotte della scultura.
– Papà, cosa stai facendo? – chiese un bambino entrando nel laboratorio.
– Preparo un presepio per un cliente.
– E il nostro? Quando lo finiamo?
Già, il loro presepio. Erano passati molti anni da quando lo aveva iniziato, esattamente otto, l’età del figlio. La capanna e la sacra famiglia erano stati i primi a essere realizzati poi, a ogni natale, era riuscito ad aggiungere solo una statuina o una piccola casa. In effetti…
– Ma che razza di presepio stai facendo? – lo interrupe il figlio indicando l’oggetto che stava lavorando. – Una statuina con la giacca e la cravatta? Proprio brutta…
– Non fare il criticone: è per un presepio moderno.
– Non mi piace.
– Non ti piace la mia statuina? Forse non sono stato bravo a scolpire questo uomo d’affari? Adesso lo chiediamo a Pepe.
Un cagnolino bianco e nero si sollevò sulle zampe posteriori e gli si appoggiò alle ginocchia. Poi fiutò con gran cura la statuina abbozzata e infine…
– Ecciù!- starnutì storcendo il muso.
– Bravo Pepe! Hai ragione: è proprio una schifezza!
– Sentite, voi due, – disse l’uomo con un mezzo sorriso, – non è il caso di passare alle offese. E poi, a quel cagnolino traditore è solo entrata un po’ di polvere di legno nel naso.
– A noi due non piace un presepio moderno – ripeté il figlio sollevando il cagnolino da terra.
Il padre lo guardò senza smettere di sorridere, poi tirò fuori da una scatola alcune statuine già pronte e dipinte: una signora indaffarata con occhiali da sole, un fattorino con un grosso pacco tra le mani…
Il bambino che si era ripromesso di mantenere un’espressione disgustata, non riuscì a trattenere un “accipicchia!” accompagnato da una serie di “bau bau” del cane quando dalla scatola uscì una bellissima macchina fuoriserie.
– Vedo che ti sei convinto.
– Piacerebbe anche a me una macchina così.
– Questa però fa parte del presepio che mi ha ordinato la banca. Vedi, vogliono metterlo nell’atrio, dove tutti quelli che entrano potranno ammirarlo.
– Non dirmi che le statuine andranno a trovare Gesù bambino con una macchina come quella…
– Beh, non proprio tutti… – disse riprendendo a lavorare sulla statuina dell’uomo d’affari. – Vedi, hanno pensato di mettere Maria, Giuseppe e il bambino dentro una costruzione che ricordi la banca.
– Gesù nella banca?
L’uomo si grattò la testa imbarazzato. In effetti, che ci faceva Gesù in una banca? Appoggiò allora la statuina dell’uomo d’affari su una sedia e fece cenno al figlio di avvicinarsi e di sedersi sulle sue gambe.
– Può sembrare strano, ma così vogliono far capire alla gente che la banca è un luogo ospitale e sicuro. Loro non avrebbero mai cacciato nessuno, come invece hanno fatto osti e albergatori a Betlemme duemila anni fa. E così, una folla di gente indaffarata ma tranquilla si muove per le strade, a piedi e in macchina, pronta a far visita a Gesù e…
– …alla banca.
– Già.
Il bambino, pensieroso, tenne per un momento la testa china; poi la rialzò e guardò in faccia il papà.
– Una bella schifezza! Noi preferiamo Gesù bambino nella mangiatoia, tra l’asino e il bue, e non tra la signora elegante e quell’uomo, vero Pepe? – disse al cagnolino indicandogli la statuina adagiata sulla sedia.
Pepe non se lo fece ripetere due volte: seguendo il gesto del padroncino, fece un balzo sulla sedia, afferrò l’uomo d’affari tra i denti e fuggì via come una saetta.
– Torna subito qui! – gli urlò il padrone, ma non riuscì ad alzarsi subito. – Scendi, Matteo, che devo prendere quel traditore di un mangia ossi!
– Papà, io non c’entro… non sono stato io…
Si sentiva in colpa perché sapeva quanta fatica faceva suo padre per intagliare il legno.
– Lasciamo perdere, non ho tempo adesso – gli rispose schizzando via.
Pepe si era dileguato. In casa era introvabile così come in giardino.
– Deve essere scappato nel bosco – gli suggerì la moglie.
– Già, e allora addio statuina – brontolò avvilito.
– Forse ritorna… si è solo spaventato per le tue urla – cercarono di consolarlo. – Fa sempre così quando ha paura di essere sgridato.
– Già, magari adesso è colpa mia.
– Dai, non fare così…
– Scusatemi, – li interruppe imbronciato, – torno a lavorare.
– Comunque stasera quel cane va a dormire senza mangiare – aggiunse scendendo le scale che portavano al laboratorio.
– Non ti preoccupare, Matteo, lo sai anche tu che non sta dicendo sul serio.
– Sì, mamma.
Abbassò la testa e con le mani dietro la schiena si allontanò tristemente. Dopo tutto era stato lui a istigare Pepe a compiere quel furto.
– Comunque questo è molto più bello di quella schifezza della banca – disse sottovoce quando fu di fronte al suo presepio.

 

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